Dicono di lui (come pittore)…

“. . . non gli è sufficiente la ragione umanitaria e scientifica del medico, né quella sociale del politico, che pure gli consentono di conoscere persone e storie, ma c°è bisogno di ripartire continuamente, con altri viaggi, per scoprire nuovi luoghi, questa volta del profondo: luoghi occultati dalla coscienza, dalle convenzioni, dai sensi di colpa, dal mistero. Questa
volta i treni e le stazioni sono altri: la Poesia, la Scrittura, la Pittura.
Cosi viaggia lungo le profondità dell’inconscio, nei misteri di uno spazio senza tempo dove sogno, segreto, ricordo, incubo, desiderio sembrano potersi ricomporre provvisoriamente in una visione simbolica delle contraddizioni, delle lacerazioni, delle finitezze sovrastate da una entità misteriosa. .
(Arch. Antonio Vicario – Docente Università della Basilicata)
Ezio Di Carlo prima di essere medico, poeta, scrittore, pittore è un personaggio di quelli che hanno il potere di dare vita a quella provincia italiana che ha tirato dal suo grembo sonnecchioso pagine meravigliose nella nostra cultura. Lo conobbi in veste di Sindaco di Balvano a pochi giorni dal sisma. Dopo qualche tempo scoprii in lui la vena poetica, lilo che racconta, annota, ma, prima di tutto indaga sull’uomo. l suoi primi quadri, tra questi un pregevole autoritratto, sono dipinti con pennellate a cuneo, come nelle antiche tavolette
mesopotamiche, ma senza parallelismi e geometrie. La pennellata piove, schizza, s`accavalla, si frantuma in mille tralci di linee, toni chiari, celestini, verdi e nuvole di titanio.
Domani cosa farai)! . . . ma i vulcani non hanno tregua. Quando tutto sembrerà calmo, tra una ricetta e l’altra. nuove lingue di lava da altre bocche sgorgheranno. l Vulcanologi si ostinano a chiamarle bocche effimere, in Ezio Di Carlo le definirei “piacevoli costanti”.
(Prof. Antonio Masini – Pittore)
Ezio Di Carlo, nella sua pittura, pur ispirata in gran parte al dramma sismico e morale della sua terra, ricerca dei valori trascendentali che superano il contingente storico, senza mai cessare di essere culturalmente attuali. A dodici anni di distanza dal sisma riaffiora ancora alla memoria la sua terra, Balvano, divenuta inconsapevolmente teatro di tragedia umana, su cui rivede sempre quelle figure amiche, con la straziante fissità della morte.
Riappropriandosi di questi ultimi valori, il pittore riesce a trovare il punto di aggancio per un discorso, sotteso fra passato e presente, non senza una certa sottile ambiguità, articolato in modi diversissimi solo in apparenza, ma in realtà legati fra loro da un intimo motivo conduttore filosofico—sociale: l’esistenza umana e/o la fenomenologia dell’essere. Ecco allora il convivere contemporaneo di diversi filoni (interni metafisici, figure e paesaggi surreali, ritratti emblematici . . .) alla cui base troviamo lo stesso studio scrupoloso dei maestri del passato e la successiva trascrizione in chiave moderna del mito: sintomatici in tal senso i dipinti “Una rosa, un corpo, due calchi”, “La maschera e il volto”, “Isterismo di Massa (Morte di Khomeini)” . . . che ricordano, seppur vagamente, certi interni metafisici, o le famose “Muse inquietanti” di Giorgio De Chirico. Scopriamo, quindi, una figurazione non ‘
aliena da un sapore concettuale ante litteram, entro cui il riferimento alla metafisica di De Chirico, appare dettato da intima necessità, mentre poi la tematica sviluppata (incentrata su un metafisico-surreale, non estraneo neppure a certe forme artistiche di contestazione del passato) è decisamente moderna e volta a sviluppare un discorso sulla pittura-pittura.
(Prof. Fabio Tedeschi – Critico d’arte)

Le memorie di un passato remoto e nobilissimo – la civiltà ellenica della Magna Grecia – e di una tradizione arcaica e popolare ora al tramonto, quella del patriarcato contadino delle antiche genti italiche, riaffiorano nella pittura di Ezio Di Carlo, un artista colto e sensibile del nostro tempo, il quale porta nella sua opera, oltre al retaggio delle sue origini, anche gli echi e i riflessi di esperienze drammatiche, di sofferenze e di lutti, di ferite ancora brucianti. ‘
Di Carlo, infatti, è stato il primo cittadino di Balvano, in provincia di Potenza, uno dei centri più gravemente colpiti dal catastrofico terremoto del 1980, ed è un trauma che la sua pittura rispecchia nelle forme catartiche e sublimate dell’arte, nelle metafore e nei simboli ricorrenti di corpi riversi, di statue e colonne spezzate o frantumate.
Ma non è tutto: questi suoi dipinti, apparentemente semplici, composti nello stile di un pacato realismo figurativo, senza crudezze e deformazioni veristiche 0 espressionistiche, rivelano. per chi proceda un poi oltre l°immediato coup dioeil, un intreccio di motivazioni artistiche e psicologiche che risultano determinanti per la comprensione del significato dei dipinti stessi e per l’orientamento sul giudizio finale che si vorrà azzardare sull’artista e
sulla sua opera.
Da certi dipinti particolarmente, dove, per esempio, sono raffigurati cavalli bianchi in un paesaggio idillico privo di presenze umane, o un’erma chiara accanto ad alcuni archetipi geometrici, quali cubi e sfere, s’irradia quella impressione di straniamento e di fascino che è associata a un genere di pittura chiamata, di volta in volta, “metafisica”, “realismo magico”, “surrealismo’°, ma che è essenzialmente una categoria perenne dell’arte, al di là dei limiti storici in cui è nata e fiorita nelle sue manifestazioni più esplicite. E ancora
ritroviamo la stessa impressione, le stesse reazioni emotive e concettuali, di fronte ad altre opere di Di Carlo: immagini umane, le cui sembianze immote, tristi 0 stranamente assorte ispirano il senso di abissi imperscrutabili, di enigmi che superano ogni possibilità di decifrazione.
È questo, dunque, l°approdo ultimo della pittura di Di Carlo: un mondo di miti e di misteri che trascende il tempo e la storia, una dimensione metafisica che vanifica ogni parvenza fenomenica, ogni illusione realistica.
(Franco Porre – Critico d’arte)
(Da “Forum Artis”)